Tosan e i cinque ranghi

Poesia

Rango uno. Il parziale dentro il completo.
All’inizio della terza guardia notturna, prima che si manifesti la luce lunare.
Non stupitevi anche se incontrandovi non vi riconoscete.
Nascosta nel cuore ancora alberga la nostalgia dei giorni passati.

Rango due. Il completo dentro il parziale.
Una vecchia dormiglione incontra un vecchio specchio.
Chiaramente vede il suo volto che non è altro che quello cui somiglia.
Tuttavia sbaglia testa e non cerca di riconoscere quell’immagine.

Rango tre. Pervenire dentro il completo.
Dentro il nulla vi è un sentiero che porta lontano dalla polvere. Se soltanto ti astieni con attenzione dal presente tabù del nome, allora, tacitando tutti, supererai in abilità coloro delle passate generazioni.

Rango quattro. L’arrivo dentro il parziale.
Due spade incrociano le loro punte, non serve evitarle.
Colui che è abile è piuttosto come un loto dentro il fuoco.
Proprio così, in modo naturale lo spirito si innalza fino al cielo.

Rango cinque. L’andare dentro entrambi.
Non cadendo dentro a esistenza e non esistenza, chi lo può eguagliare?
Gli esseri umani desiderano a tutti costi uscire dal costante flusso.
Ma dopo aver fatto tanto, alla fine si torna a sedersi sulla brace
.

Questa poesia descrive il rapporto tra l’assoluto e relativo, cioè tra il completo ed il parziale, la dimensione assoluta dell’illuminazione ed i molteplici fenomeni della realtà.

La prima fase, il rango uno, è quando siamo nell’oscurità, nella notte, all’inizio della terza guardia notturna quando ancora non è presente la luce lunare. In questa fase, non siamo in grado di riconoscere il nostro vero sé, perché siamo ancora troppo attaccati ai giorni passati, cioè al nostro io illusorio costruito fin dalla nascita.

Nella seconda fase, una vecchia dormigliona, il nostro vero io, è ancora troppo assonnato per potersi riconoscere anche quando si vede riflesso in uno specchio, e per questo confonde la propria immagine con quella di qualcun altro. Abbiamo ancora bisogno di tempo per poter vedere.

Nella fase successiva, il terzo rango, abbracciamo e seguiamo la via del vuoto, che ci porta a ad andare oltre ai nostri concetti, abbandonando la mente discriminante che attribuisce nomi a cose, sensazioni, persone.

Ma anche se siamo sulla buona strada, siamo ancora lontani dalla meta, perché ad un certo punto arriverà una sfida, due spade che si incrociano. Proprio in quel momento, non dobbiamo scappare, ma attraversare quella difficoltà come un fiore di loto attraversa il fuoco senza esserne bruciato. Questo è un momento molto importante nella pratica di tutti noi.

L’ultimo rango, la quinta fase, è quando dopo essere usciti fuori dal parziale, percorso l’assoluto, ritorniamo nel parziale con la consapevolezza dell’assoluto. L’ultimo verso della poesia dice infatti che colui che va al di là dell’esistenza e della non esistenza diventa ineguagliabile. Anche se gli esseri umani desiderano a tutti costi uscire dal flusso della nascita e della morte, cioè rimanere nello stato assoluto, il vero praticante è colui che dopo aver fatto tanta strada torna a sedersi sulla brace, cioè torna a vivere nel mondo dell’illusione.

Dogen esprime lo stesso concetto nei primi due versi del Genjokoan quando dice: quando tutti Dharma sono il Buddha Dharma, c’è illusione e realizzazione, pratica, vita e morte, Buddha ed esseri viventi. Quando i 10.000 Dharma sono privi di un sé fisso, non c’è né illusione né realizzazione, né Buddha né esseri viventi, né nascita né morte.

Non pensiare che queste siano solo disquisizioni mentali queste fasi le passiamo ogni momento. Ad esempio, quando veniamo per la prima volta alla Dojo, siamo solo degli individui e non vediamo in noi la natura del Sangha. Dopo che frequentiamo il Dojo per un po’ di tempo, diventiamo familiari con il concetto di Sangha, ma ancora non riusciamo a vedere noi stessi come parte del Sangha. Se proseguiamo a praticare, iniziamo ad agire in armonia con gli altri, ci armonizziamo nei gesti, nei canti, nella pratica. Abbandoniamo il nostro ego e diventiamo il tutto, siamo finalmente Sangha. Ma siamo ancora a metà del nostro cammino, basta uscire dalle porte del Dojo per veder ricomparire il nostro ego ordinario. Facciamo ancora distinzione tra la nostra vita ordinaria al di fuori del Dojo e la vita armoniosa e unitaria all’interno del Dojo. Poi nascono I conflitti, la nostra idea di armonia e unità vengono messi in crisi anche all’interno del Dojo, e non ci riconosciamo più come parte del Sangha. A questo punto possiamo percorrere due strade, fuggire e cercare da un’altra parte, perseguendo la nostra idea personale, o attraversare I fuochi dell’inferno come un fiore di loto. Se rimaniamo all’interno, abbandonando anche l’idea di un Sangha e di un non Sangha, di un me e deglif altri, di un Dojo e di un mondo ordinario, allora diventeremo veramente un Sangha rimanendo noi stessi, ed anche uscendo dalle porte del Dojo, nel mondo delle illusioni, vivremo all’interno del Sangha, ci comporteremo come se stessimo all’interno del Dojo.

Horyu

 

*Ispirato dal libro di A. Tollini, la via dello zen.