Opulento dal latino opulentus, derivato di ops ,mezzi, ricchezza, potere’, col suffisso -ulentus, che indica abbondanza.
Assistiamo oggi in Europa, come negli Stati Uniti, a una crescita forte, di un processo che ha le sue origini negli anni 60, di un percorso moderno, della spiritualità orientale. Infatti non ci vuole poi molto per vedere il continuo prolificarsi, di scuole, metodi, percorsi, dottrine, che in qualche modo, sussistono l’orfano occidentale e moderno, ateo e non solo, alla sua crescita interiore, e per così dire, alla ricerca del dio che non c’è,nel tentativo e sforzo comune all’umanità di liberarsi comunque dalla sofferenza, intesa qui in ambito buddhista come dukkha (sofferenza )
Lo zen come ultimo arrivato e scevro, dai condizionamenti dogmatici, per anni ha goduto di una speciale riservatezza e autarchia. Una sorta di libertà anarchica, ( spesso male interpretata ) in cui ci si poteva avvicinare, senza sentirsi travolti, da ciò che era stato abbandonato in precedenza e nei secoli, con illuminismo prima, e dio è morto, successivamente. Un senso di quiete serena, dove l’altare spogliato, rimaneva essenza e simbolo di vuoto. Finalmente una spiritualità a cui ci si poteva rivolgere, senza la mediazione di un ente, o istituzione, e seppur presente, necessaria e primaria la figura del Maestro, questo io-tu, non era invischiato dalla politica, e ne tantomeno da ogni convenzione clericale e non solo.
E’ pur vero che questa apparente libertà, ha subito gli impulsi ambigui, della non codifica, e di un mancato percorso pedagogico. Troppi sono stati infatti gli abusi, e la prevaricazione, e non poche, le relazioni discepolo maestro cosi squisitamente dipendente e narcisista. Ma questo è un capitolo a parte. In ogni caso, gli stessi meccanismi sono comunque presenti, con l’aggiunta della clericalizzazione della spiritualità, che sempre piùalmeno qui in Europa si sta arricchendo di un qualcosa che tra l’altro non ci riguarda, in quanto occidentali, in quanto non giapponesi.
Sembra in questo senso che lo svestimento dell’altare, lo spogliarsi dell’io, perchè dio non c’è?, ma l’io lo ha sostituito, abbia avuto come tragica conseguenza, una iconografia ecclesiastica, a cui è impossibile sfuggire.
Il sorriso cardinalizio è di nuovo presente, e a mio parere (mi prendo le responsabilità ) del mio articolo, siamo ben lontani dalla genuina semplicità di Dogen, e per avvicinarci più a noi, dalle magnifiche e stupende parole di Kodo Sawaki.
Quello che noto, osservando il nuovo clero zen buddhista occidentale, è la manifestazione teatrale, di un qualcosa che è stato demonizzato prima, e riproposto poi, in chiave moderna, ( perseguendo un codice che lo si definisce zen giapponese, ma che di giapponese ha poco, in quanto a sua volta di origine cinese ), e quindi per nulla autentico almeno per noi, uomini senza un dio, di un qualcosa che in definitiva non ci appartiene come cultura, e ne tanto meno come tradizione. C’è stato negli anni, un appropriarsi del vuoto, inteso come vuoto di potere, e ci si è infilati, con la gentile concessione della Sotoshu (la chiesa zen giapponese ) per mettere un sigillo e un affermazione su quella libertà originaria, diventando così simili all’opulenza vaticana, anche se in forma minore, ma non per questo, meno pericolosa e personalmente lontana anni luce, dalla semplicità dello zazen.
Quello che contesto in questo articolo, èl’ambizione, la politicizzazione, la presa salda sul potere, che come ogni forma di potere, sugella se stesso, attraverso altro potere identico. Mi si può opporre, come argomentazione, che ogni struttura, necessita di una organizzazione, ed è vero. Ma tra l’essere semplicemente seduti, lontani dall’aspirare posizioni e cariche, praticando lo shikantaza e l’arrogante ambizione verso la punta della piramide, c’è una grandissima differenza.
Probabilmente il mio concetto, è utopistico, troppo anarchico e con una forma geometrica che non piace.
A proposito di forme geometriche, mi riferisco al cerchio così tanto decantato e idealizzato, da renderlo in questo modo così storpiato dall’ esser divenuto un triangolo.
Già ma alla fine è sempre la stessa storia, e permettetemi una battuta.
Il triangolo no, non l’avevo considerato.