Natura di Buddha

Vorrei esplorare brevemente un concetto espresso da Dogen:
“ Studiare il Buddhismo è studiare se stessi. Studiare se stessi è dimenticare se stessi “ e ripreso dopo 8 secoli da Kodo Sawaki quando diceva che studiare il buddhismo è studiare la perdita. Questa espressione spesso per gli studenti zen risulta di difficile apprendimento, e in questo senso spero che che questa piccola disquisizione possa aiutarci ad elaborarla e comprenderla diversamente, in modo tale che essa ci lasci senza uno stato di fraintendimento e incomprensione profonda.
Come ben sapete la storia dello zen è costellata da citazioni, koan, o parole che a prima vista sembrino avere un non sense.
Tralasciando i vari koan, citerò quelli che a mio avviso ci riguardano direttamente.
Iniziò il Buddha con la trasmissione del Dharma a Mahakasyapa,
«Io possiedo il vero occhio del Dharma, la mente meravigliosa del Nirvāṇa, la vera forma del senza-forma, il sottile cancello del Dharma che non si fonda su parole o lettere, ma che è una trasmissione speciale al di fuori delle scritture. Questo io affido a Mahākāśyapa.[
poi Bodhidharma dove nell’antica Cina si svolse un celebre dialogo tra il primo patriarca del Chan (Zen cinese) Bodhidharma e l’imperatore che era già buddista:
velo cito testualmente.

Imperatore: – Ho fatto costruire monasteri, ordinare monaci, tradurre testi; quali meriti ho
accumulato? –
– Nessun merito –
– Ma allora su cosa si fonda la sacra dottrina? –
– Un vuoto immenso, ed in esso nulla di sacro –
– Ma chi sei tu per parlarmi così? –
– Non lo so –
Poi Dogen quando si rivolse al suo Maestro e gli chiese cosa significasse
corpo e spirito abbandonati shin jin datsu raku.
E il suo Maestro rispose
1) Sanzen – cioè la pratica profonda dello Zen – è corpo e spirito abbandonati. Non avete bisogno di bruciare dell’incenso, di recitare delle preghiere o dei mantra, di infliggervi delle mortificazioni o di recitare dei sutra. Si tratta solo di sedersi con uno spirito unificato, shikantaza ». E siccome Dogen insisteva nella domanda : « Ma che cos’è corpo e mente abbandonati ? » Nyojo rispose : « Zazen Cit. Roland Yuno Rech

E finalmente arriviamo alla citazione più recente, di Kodo Sawaki
quando diceva, che studiare il buddhismo è studiare la perdita, cioè nel senso più letterale del termine il percorso spirituale è un processo di perdita e non di guadagno. Che è l’equivalente dello spogliarsi di ogni abito per rimanere esattamente con quello che c’è.
Ora che cosa significa veramente processo di perdita ?
Se ci avviciniamo a questa frase, molto spesso rimaniamo disorientati, solo per il fatto che nella nostra ricerca siamo orientati ad un raggiungimento di qualcosa.
Meriti, felicità, riconoscimento, ambizione e orgoglio spirituale, tanto per citarne qualcuno….ma mai perdita.
La parola perdita in effetti ci lascia con una domanda di fondo.
Perdita di che cosa ?
Non è così ?
Oppure se perdo questo chiamiamolo fattore x, cosa rimane di me, cosa sono ?
E’ un circolo vizioso che si basa sulla paura, ci porta fino ad un certo punto…e poi sulla soglia della porta ritorniamo indietro e così via.
Vi invito a riflettere su questo punto.
Allora vorrei precisare alcune questioni.
Perdita non significa diventare degli psicotici
Perdita non significa ad un certo punto della vita, non riconoscersi come una identità costituita da un io e tutto il resto.
Perdita non significa smarrimento, confusione, paura, disorientamento.
Vorrei essere chiaro su questi punti, perché sono fondamentali nel nostro cammino.
E questo a mio avviso ( parlo per esperienza personale ) è una delle questioni più delicate che riguardano qualsiasi percorso spirituale, soprattutto nel buddhismo dove si parla di vacuità, non io e interdipendenza.
Dunque perdita di che cosa ?
Mi pare chiaro che nessun modo possiamo perdere la nostra individualità,e tutte le nostre emozioni, ecc ecc, il nostro io, possiamo invece imparare ad abbandonarlo.
Vi faccio un esempio tratto da Paolo Menghi, famoso neuropsichiatra e maestro, morto un po’ di anni fa.
Spesso raccontava un episodio dove menzionava una persona afflitta da un senso di rabbia e senso di colpa, che era andata in cura per liberarsi dai suoi tormenti interiori.
Dopo anni di psicoanalisi, finalmente guarito, si rivolse al Menghi dicendogli.
Ma ora che non sono più arrabbiato e non ho sensi di colpa…chi sono io ?
Capite ?
Era talmente identificato con queste emozioni, che la sua struttura psichica era per cosi dire deformata.
E a noi non succede forse la stessa cosa ?
Vi ho menzionato questo episodio perché lo trovo calzante e valido per tutti.
Ora non potendo stare in zazen 24 ore su 24 come possiamo apprendere questo processo di perdita e cosa significa perdita nella nostra vita quotidiana ?
Perdita è abbandonare le coercizioni mentali, i blocchi emotivi, è non lasciarsi guidare dalla nostra visione ristretta della vita, è smettere di essere egocentrici, smettere di pensare che se facciamo una cosa, o un percorso, lo facciamo perché dietro ad esso c’è una qualsiasi forma di ricompensa, è cominciare a percepirsi si come una persona…ma una persona che è vuota di se, ma piena dell’ Universo intero.
In definitiva è un sottile e profondo apprendimento sulla morte e sulla vita.
Noi moriamo e rinasciamo ad ogni momento.
Lo dice la scienza, mentre il Buddha…diceva che moriamo e rinasciamo ad ogni respiro.
Allora facciamo in modo che ogni rinascita sia per noi un momento di esaltante gioia, e profonda pace interiore.
Lasciamo che ogni perdita sia un bonno, una illusione trasformata….e finalmente concediamoci la possibilità di realizzare ad ogni passo, ad ogni gesto e ad ogni respiro la meravigliosa essenza della vita, cioè la costante trasformazione dei fenomeni che altro non è
La Natura di Buddha.