Bulimia spirituale

Bulimia spirituale

Prendendo spunto da un articolo apparso su Zen in the City, ( Il sangha liquido: così internet cambia la meditazione – Zen in the City– ) e l’incipit di un caro amico, è nata in me l’idea di voler approfondire un argomento così tanto di moda. E’ uno spunto, un invito alla riflessione e non è mia intenzione fornire una risposta esaustiva. Le mie sono considerazioni che nascono da una vita vissuta come pellegrino e ricercatore spirituale. E sarà immensamente grato se attraverso questo articolo si possa aprire un confronto sano e fertile per tutti noi che siamo alla ricerca… sulla Via.

In realtà la meditazione, e la ricerca spirituale ( nelle sue forme spurie) non sono una questione di moda. L’uomo, l’umanità in generale fin dai suoi primi arbori ha cercato dentro e fuori di se, una dimensione trascendente. Allora cosa è cambiato oggi ?

La prima considerazione che sorge spontanea, nasce da una domanda. Domanda tanto semplice quanto profonda. Un quesito che lega attraverso un filo rosso invisibile ad ogni essere senziente.

Cosa ha in comune l’umanità ?

La nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte.

In realtà non ho fatto altro che enunciare la prima nobile Verità

Il punto di partenza da cui il Buddha ha iniziato la sua ricerca iniziale, e in seguito la diffusione del Dharma dopo una ricerca dura ed estenuante che lo ha condotto infine alla sua liberazione/illuminazione.

In poche parole siamo intrisi dal dolore, come verità ineluttabile.

E come essere cangianti che nascono e muoiono di respiro in respiro, viviamo dentro un sentimento di eterna insoddisfazione. Una dolorosa presa di coscienza che prende forma e cresce subdolamente in noi. Questo sentimento nel buddhismo viene indicato con il termine dukkha:

Il termine pāli dukkha (दुक्ख), in sanscrito duḥkha (दुःख), indica una condizione di sofferenza, etimologicamente: “difficile da sopportare”, da du = difficile e kha = sopportare

Ora se ci’è un assunto, una verità indiscutibile, non per dogma o dottrina ma perchè è una condizione imprescindibile alla natura umana, posso tornare al punto iniziale dell’articolo ponendo alcune domande:

Cosa è cambiato allora rispetto a 2000 o 3000 anni fa ?

Cosa è cambiato allora rispetto a 20, 30 o 50 anni fa ?

O meglio come è cambiata la ricerca e la meditazione ?

Forse è rimasta la stessa, con la differenza che oggi ( l’utente ) come viene definito nell’articolo, ha la possibilità di fruire ad un numero incredibile di risposte ( in base alla domanda iniziale ) senza per questo sentirsi obbligato ad aderire verso ad una scuola piuttosto che un’altra, e grazie alla diffusione di internet ad’ accedere a testi, conferenze, meditazioni on-line, e quant’altro, in maniera gratuita e senza impegno personale. Tutto ciò giustifica in qualche modo, anche il cambiamento che stanno affrontando le varie scuole, sempre meno dottrinali e più in generale attente alla richiesta del cliente. A questo punto probabilmente visto che in America, sempre all’avanguardia e più pratici di noi europei, questo argomento è stato già affrontato e risolto, (non senza contraddizioni, aggiungo ), è giusto fare una considerazione:

Come mai oggi, parecchie scuole, cosi come nella psicoterapia cheè nel counseling in generale, stanno seguendo un modello pluralistico e non più assoluto ?

Che significa tutto questo ?

Significa che pur aderendo ad una scuola o ad un lignaggio particolare, si sente la necessità di integrare all’interno dei propri insegnamenti, elementi diversi e non necessariamente legati alla scuola stessa.

Quindi il pluralismo sia nell’offerta che nella richiesta.

Allora perchè bulimia spirituale ?

Perchè la bulimia come indica la sua etimologia

Il termine bulimia (AFI: /buliˈmia/[1][2]; dal greco βουλιμία, boulimía, propriamente “fame da bue”, composto di βοῦς, bôus, “bue”, e λιμός, limós, “fame”) indica, nel linguaggio medico, una voracità patologica ed eccessiva associata a malattie di diversa natura (diabete, anchilostomiasi, oligofrenia, eccetera)

E’alla stessa stregua della sua sorella ( bulimia nervosa ) per cui se da una parte c’è più cibo sul banco del supermercato, c’è meno disponibilità a fermarsi laddove la ricerca ci ha condotto in un luogo in cui inizia il processo di masticazione, assorbimento e digestione del nostro attrito interiore, necessario alla crescita e alla liberazione dai modelli comportamentali adottati dall’ego in difesa e a protezione di se stesso.

Kodo Sawaki un grande maestro Zen, da cui proviene il nostro lignaggio, spesso rammentava che il percorso spirituale è un processo di perdita e non di guadagno. Che è l’equivalente dello spogliarsi di ogni abito per rimanere esattamente con quello che c’è. Usando un eufemismo significa essere nudi. Nudi a se stessi, al mondo, agli altri, ad ogni cosa.

Questo vuol dire rimanere con l’attrito, con la sofferenza, con l’abrasione che si crea inevitabilmente con la meditazione. Significa sostenere un fuoco che brucia da dentro e rimanerci senza scappare via. E’ affrontare e condividere nella relazione con un gruppo, la crescita e la tristezza, la gioia o piuttosto la rabbia. E’ avere paura, una paura infinita di lasciare la presa, le tante prese, e creare le condizioni per un coraggio che in quel momento non c’è, per rimanere li cosi come stiamo, semplicemente così com’è. Nudi nel fuoco che brucia.

Appare evidente che in un contesto sociale di questo tipo, dove le istituzioni tendono al marketing e allo sfruttamento più che alla crescita e allo sviluppo dell’individuo ( sano ) sia tutto molto difficile e antisociale. Le persone non fanno altro che seguire un modello che già conoscono, e che gli è stato inculcato da sempre. Prendo, mangio, faccio indigestione, vomito, e poi di nuovo mi avvicino ad un nuovo modello, una scuola nuova, senza sentirmi vincolato da niente e da nessuno, laddove il mio impulso di nevrosi, dukkha mi spinge ad una nuova richiesta di cibo/aiuto

Questo è il punto.

In esso c’è la tesi, l’ antitesi, ma manca la sintesi. Cioè la capacità di fermarsi in un qualsiasi luogo e scuola, fermarsi per un attimo nella Vita e rimanere in compagnia di noi stessi.

In fondo ci sono molti picchi da scalare e molti abissi da esplorare, ma ogni dipinto, ogni poesia, ogni brano musicale, ha una sua storia, un suo percorso, un sentimento e infinite emozioni silenziose. La nostra storia, la nostra emancipazione, la nostra libertà interiore, l’accettazione di noi stessi; nascono in un attimo. E quell’attimo così irrimediabilmente sfuggente, nasce da un unico punto.

L’intimità con noi stessi.

Massimo Chinzari