Il primo settembre del 2000, dopo anni di ricerca nei vari percorsi spirituali e due anni di psicoterapia, sedendomi su uno zafu nero, decisi che lo Zen era la mia strada.
Dopo circa due anni a 38 anni, in un mondo (domanda e risposta con il maestro in pubblico ) appena ordinato monaco, chiesi al mio maestro cosa significasse essere monaco, e lui per tutta risposta mi disse che la mia domanda era una domanda aperta, e che seppur riferendomi ai voti espressi, alla devozione e all’impegno nella Via, in realtà la stessa domanda avrebbe trovato le sue risposte solo nello scorrere del tempo, e mai e poi mai sarebbe stata una risposta esaustiva.
Così eccomi qui sedici anni dopo, ad un passo del 54° compleanno, a condividere con chi leggerà, a farmi la stessa domanda.
Cosa significa essere monaco ?
Mi accorgo che l’uomo ha preso il posto di quella forma di acerbità presente allora, la pelle, il volto, il tono muscolare sono cambiati e con essi sono mutate le condizioni. L’esuberanza, l’entusiasmo, la romantica accezione della vita, e molto probabilmente una differente visione del buddhismo inteso come ismo e dogma, ma e lo spero vivamente ho di nuovo incontrato il Buddha per strada e l’ho ucciso.
Se preferite ho incontrato Cristo e ho ucciso anche lui.
Ecco ora penserete che sono un assassino, come darvi torto ?! La mia strada, la mia Via si è costellata di morte e rinascite. Sono sempre arrivato ad un punto, ma nemmeno il tempo di sostare, che già l’impulso del ricercatore era li a spingermi oltre… a fare un nuovo passo nell’ignoto.
Un amico poco fa mi ha detto che nessuno gli ha mai indicato la Verità e questo lo ha fatto soffrire molto.
Ma io penso che nessuno può dirci la Verità. Piuttosto essa è ignota nel futuro, e ha le orme dei nostri passi nel passato, nel presente possiamo solo stare con quello che c’è e imparare ad essere non solo consapevoli, ma soprattutto compassionevoli verso noi stessi.
Già la compassione è una peculiarità che ci manca. Penso che siamo talmente pieni di ego da dimenticare quella specialità di volerci bene, di amarci fondamentalmente così come siamo, passando inevitabilmente nell’accettazione totale di noi stessi.
Mi accorgo di essere andato fuori tema, una digressione narrativa e autobiografica uscita senza rendermene conto, e quindi torno alla domanda iniziale cosa significa essere monaco ?
Cerco di aiutarmi con il vocabolario
monaco
monaco/
sostantivo maschile
1. 1.
Religioso che, isolato o nell’ambito di una comunità, si dedica alla pratica della devozione.
Origine
Dal lat. tardo monachus, dal gr. mònakhos, der. di mònos = solo. Sec. XIII.
Facile no ?!
Si è facile se non fosse che in mezzo a questa spiegazione c’è la vita. La vita fatta di carne ossa e midollo, di illusioni e santità, di lutti e dolori, di risate che forgiano l’anima e di fondo le quattro nobili verità a monito che tutto scorre, che la vita è sofferenza, che c’è una possibilità per “guarire” e che esiste un Sentiero per uscire fuori da questa condizione che si chiama “dukkha”!
Perchè nel Buddha si infila il buddhismo ?
Chi ce lo ha messo ?
E’ una necessità umana questa o il tentativo di afferrare la verità di un singolo uomo e renderla manipolabile a proprio favore..?
Penso che siano vere entrambe, ma nell’ismo non c’è niente. E non il niente del tutto è vuoto e vacuità intendo dire il niente vero e proprio.
Lo so sto girando intorno al discorso di cosa significa essere monaco.
Ecco finalmente mi arriva una specie di risposta che pur sapendo e riconoscendola come non definitiva mi solleva dall’incarico di aver avuto la presunzione di spiegarla a chi ora sta leggendo queste quattro parole di un monaco zen a Roma.
E’ aprirsi totalmente alla propria sofferenza, al senso di disagio e di inadeguatezza, alla fugacità della vita e l’ineluttabilità della morte, è morire a se stessi e trascinare con la nostra morte l’idea di Buddha e di Cristo, è creare uno spazio interiore all’interno del quale possiamo rimanere con l’attrito della sofferenza psichica e percepire con la nostra sensibilità il dolore degli esseri senzienti, uno ad uno fino a rimanere con gli occhi arrossati di lacrime e un senso di impotenza ( conditio sine qua non ) per essere veri.
Vero e non monaco.
Il monaco è una dipanazione della verità nel momento in cui si esprime attraverso lo zazen, la preghiera e la presa di coscienza di quanto descritto poc’anzi.
Ma avrei potuto scrivere invece che monaco, poeta, artista, contadino, operaio, casalinga, avvocato, la differenza la fa l’abito ma non il cuore.
La differenza la fa il Buddha e non il buddhismo.
Nel primo cerco la sacrosanta verità dentro di me che tutto è natura di Buddha ( la costante trasformazione dei fenomeni o mujo se preferite ), nell’altro mi allontano perché seguo la dottrina, la fissazione, il dogma, l’ambizione al potere e a tutti quei atteggiamenti che sono di carattere collettivo e quindi vincolati dalle dinamiche spurie della ricerca spirituale.
Monaco è essere soli. E non disperarsi pensando che sia isolamento, ma solitudine condivisa.
E’ non affidare a nessuno la propria responsabilità. E non delegarla
E’ sperimentare attraverso le procedure empiriche che il Buddha ci ha invitato a verificare di persona, i pensieri, le parole, i fatti e le impronte del passato verso il futuro.
E’ rifarmi la stessa domanda fra uno, dieci , e speriamo vent’ anni.
E’ non aver conseguito nulla, meno che mai l’illuminazione e né tanto meno la Verità
E’ dover uccidere di nuovo Buddha e Cristo perchè di nuovo in me ci saranno appigli e incertezze, e mi sarò attaccato nuovamente al Buddha e al Cristo
E per concludere ma queste non sono le mie parole
<< Quindi, o Ananda, siate lampade per voi stessi. Siate voi il vostro rifugio. Dirigetevi in voi stessi invece che a rifugi esternià (Sutra del Nirvana)